Cerca nel blog

mercoledì 22 agosto 2012

NO alle "botte a fin di bene"

La violenza fisica è un insulto all'integrità di chiunque, bambini compresi. (J. Juul)


In caso di violenza i responsabili sono sempre gli adulti: non soltanto quando sono loro ad esercitarla, ma anche nel caso opposto, cioè quando i bambini sono violenti nei confronti di genitori, fratelli o sorelle, amici o estranei.
In Svezia e in Norvegia è illegale per un genitore, insegnante e per chiunque altro picchiare un bambino. In altri stati lo è solo per un maestro. La punizione corporale, in tutte le zone del Nord America, è vista come disciplina necessaria ed è perfino incoraggiata.

Per quale motivo molti studiosi raccomandano di evitare le punizioni corporali come un "semplice" schiaffetto sulla mano?
"Le punizioni corporali esprimono il messaggio sleale e pericoloso della "legge del più forte", che è ammissibile ferire gli altri, purché essi siano più piccoli e meno potenti di quanto sei tu. Il bambino allora conclude che è lecito maltrattare bambini più giovani o più piccoli. Quando diventerà adulto, proverà poca compassione per quelli meno fortunati di lui, e avrà paura di quelli che sono più potenti. Questo renderà difficile instaurare relazioni che abbiano un significato, così essenziali per una vita emotivamente appagante.
Le punizioni compromettono il legame tra genitori e figli, perché è contro natura provare amore verso chi ci ferisce. Un autentico spirito di collaborazione come tutti i genitori desiderano può fondarsi solo su un forte legame basato su sentimenti di reciproco amore e considerazione. I castighi anche qualora sembrino funzionare possono produrre solo superficialmente un buon comportamento basato sulla paura, che potrà mantenersi fino a quando il bambino sarà abbastanza cresciuto per riuscire a fare resistenza. Al contrario la cooperazione basata sul rispetto dura per sempre, portando a molti anni di reciproca felicità mentre il bambino cresce e i genitori diventano più anziani".

Testimonianza

Vorrei condividere con voi questa testimonianza


"Sono stata una bambina picchiata. Spesso e selvaggiamente da piccolissima. Man mano che crescevo le botte sono diventate meno frequenti, restavano una soluzione per le grandi occasioni. Per punizione venivo respinta, ignorata, messa in castigo, subivo privazioni. Era comunque violenza, comunque disamore. Non ho mai rimosso il ricordo della brutalità e dell'ingiustizia di mio padre, non ho mai pensato che avesse ragione.
E ho conservato la memoria dei miei dolorosi sentimenti. Sono insomma rimasta in stretta sintonia con la bambina che ero. E questo mi ha sempre aiutato a entrare in contatto con i bambini, a capirli nelle loro esigenze più semplici, a sentirmi una di loro.
Nonostante questo però ho a lungo lottato contro il desiderio di avere un bambino mio. Tra le tante ragioni del mio rifiuto c'era il timore che non avrei potuto essere una buona madre, che avrei potuto ripetere su mio figlio la violenza subita. E forse temevo che il mio bambino mi avrebbe costretto a una definitiva resa dei conti con me stessa, con la mia segreta disperazione.

E così è stato. Per nove mesi ho sentito in me la lotta tra me e la mamma del mio bimbo, tra ordini di ragioni molto diversi tra loro. Man mano che il tempo passava, la mamma ha avuto il sopravvento, ha respinto la donna che c'era prima di lei e io mi sono un po' alla volta trasformata. Il mio istinto ha preteso questa metamorfosi, lo vedo adesso con grande chiarezza. E sono certa di aver accolto il mio bambino nel miglior modo che per me fosse possibile.

Solo che quello era solo l'inizio, e io fino ad allora l'avevo invece sentito come un traguardo. Una volta accettata l'esistenza di Carlo, ora andava accolta e accudita la sua vita giorno per giorno, e nessuno mai mi aveva insegnato che cosa fare. Credo che la maggiorparte delle mamme si trovi nella solitudine in cui mi sono trovata io di fronte a un'impresa così importante. Forte, fortissima, ma insieme fragile e vulnerabile, piena di bisogni che sconcertano. Bisogni che vengono soprattutto dal passato.

Per fortuna ad aiutarmi si è fatta stada un poco alla volta una meravigliosa consapevolezza: mentre il mio bambino cresceva, mentre lo accudivo ed esaudivo i suoi bisogni, quando lo vedevo felice, insieme la bambina umiliata dentro di me sanava le sue ferite, si liberava dalla maledizione dell'incomprensione e della violenza. Le veniva offerta una seconda possibilità per crescere e divenire sé stessa. Non so dirvi la gioia, l'entusiasmo e anche la gratitudine che ho provato per il mio piccolino.

Ma non c'è stato solo questo. Ci sono stati momenti di difficoltà, emergenze in cui mi sono ritrovata impotente e disorientata, piena di paura. Momenti in cui la sintonia con il mio lato materno e con quello infantile si è interrotta. Mi sono ritrovata ad essere una povera cosa senza forze e senza speranza. Momenti terribili in cui mi sentivo messa alla prova e disperavo di farcela. E allora dentro sentivo salire una rabbia che non credevo di poter ancora custodire, un odio profondo e distruttivo. E quest'istinto violento mi spingeva contro il mio bambino prima che contro me stessa. Ci sono state delle volte in cui, invece di cullarlo con amore, l'ho scosso con forza. E poi ho pianto stringendomelo addosso. Una volta l'ho buttato sul letto, un'altra gli ho mollato una botta sul sedere. E lui di solito, il mio piccolo tesoro, ha preso queste violenze come un gioco, mi ha sorriso, ha lasciato che lo stringessi subito carica di pentimento.

Oppure ho sentito il mio sguardo farsi furioso, minacciarlo e l'ho visto coprirsi gli occhi per non vedermi. E poi cercare di abbracciarmi stretta spaventato. E tutte le volte quello che facevo non era quello che avrei voluto fare, ma qualcosa che mi premeva da dentro e che non riuscivo a controllare. Inutile forse dire che l'istante dopo mi ritrovavo devastata dal mio comportamento e provavo orrore per me stessa. Sentivo il fallimento di aver riproposto un comportamento subito e sofferto atrocemente per mio conto. Come se il tempo della mia vita fosse passato invano e tutte le esperienze e le riflessioni fatte per affrancarmi dalla mia famiglia fossero passate invano. Mi ritrovavo ancora inguaiata in un sistema di violenze fatte e subite da cui credevo di essere fuggita per sempre. I mostri erano tornati.

Non saprei come altro chiamarli questi impulsi intrisi del ricordo dell'ira di mio padre che si scatenava contro di me, dell'incapacità di mia madre di difendermi o anche solo di farmi sentire che almeno in parte non era d'accordo.
Ma perché, mi chiedevo, tornano ora che ho con me un esserino adorato che ogni giorno mi aiuta a crescere e a capire meglio come sono e come vorrei essere e che cosa voglio dalla vita? Lui che finalmente mi fa sentire quanto posso essere diversa e lontana da quel modello.

Ero così sicura di aver superato i problemi connessi al rapporto con i miei genitori! Un'impresa che avevo sostenuto per tutta la vita, e che mi aveva impegnato soprattutto negli ultimi 15 anni, da quando avevo finalmente incontrato qualcuno che mi aveva amato per quello che ero e che io avevo amato a mia volta: l'uomo con cui vivo da ormai 16 anni e che è il padre del mio bambino.

Proprio con lui avevo avuto i motivi di maggiore tensione dall'arrivo di Carlo: noi, sempre d'accordo su tutte le faccende importanti, ci eravamo trovati spesso radicalmente in contrasto, quasi il nostro bambino, invece di unirci di più, ci avesse all'opposto divisi.

Mi ci sono voluti più di 2 anni per capire quel che ci è successo. L'illuminazione me l'ha data una lettera di una paziente citata da Alice Miller ne "Il dramma del bambino dotato". Diceva che l'unica forma di amore incondizionato è quella che esiste tra figlio e madre, o genitori. Io questo non l'avevo mai capito e avevo sempre pensato che il mio amore per mio marito, e il suo per me, dovesse essere di questo tipo. E penso anche di averlo amato per lungo tempo così, finché i miei bisogni non hanno cominciato a farsi insostenibili, visto che lui giustamente mi ha sempre amata in modo "condizionato", come è normale tra adulti che si scelgono. Mi è risultato chiaro allora che avevo traferito il ruolo che i miei genitori avrebbero dovuto avere per me su di lui, e che avevo fatto dipendere dal suo amore la mia autostima e la fiducia in me stessa.
Nei momenti in cui una tensione o un contrasto contraddicevano il tipo di amore di cui io avevo bisogno, ecco che mi ritrovavo senza difese, in balia dei miei mostri, sempre pronti a riacciuffarmi al minimo cedimento, e a scatenarsi sul mio piccolo.

A ripensarci infatti le mie crisi violente sono sempre coincise con i peggiori episodi di scontro tra noi due. In quelle occasioni perdevo ogni ragion d'essere, odiavo la vita, la mia e quella che avevo generato. Non c'è molto di strano, se per tutta la vita senti di non essere amata, voluta, accettata per quello che sei. Quando l'unica persona per cui conti qualcosa ti abbandona perché non le piaci e ce l'ha con te, che cosa ti resta? Se sei una donna equilibrata e matura, puoi pensare che si tratta di un momento passeggero che non incrina i sentimenti che provi da anni, né ne smentisce la solidità. Ma se dentro hai il vuoto, perché l'amore che ti avrebbe dovuto permettere di crescere e farti forte ti è mancato da subito, con una parte di te cerchi solo conferme del tuo fallimento, e, anche se lo fai con la riposta speranza di trovare smentite, lo fai comunque spietatamente, cerchi lo scontro, non lasci scampo a nessuno.

Chissà come avrei affrontato una crisi simile senza Carlo. Forse non mi sarei salvata. Credo che con una parte di me io anzi l'abbia chiamato a salvarmi, a salvarci dalla nostra segreta disperazione. L'ho invocato perché ci aiutasse a diventare persone migliori. E' ingiusto, ma credo che non ci sia mai un sentimento disinteressato che spinge a fare un figlio. Desiderarlo risponde sempre a un nostro riposto bisogno che non ci dà tregua e che cerca risposta. I nostri bambini vengono per salvarci, ne sono convinta. Anch'io ero venuta a salvare i miei genitori, ma i loro mostri non me l'hanno permesso".

lunedì 2 luglio 2012

Padri senza scrupoli

Son casi di follia inspiegabili, si tratta di vite innocenti e ad uccidere sono proprio coloro che avrebbero dovuto proteggerli.
Negli ultimi mesi vi è stato un episodio che ha sconvolto l'Italia, il piccolo Claudio, di soli 19 mesi, gettato dal padre nelle gelide acque del Tevere lo scorso 4 Febbraio. A Roma aveva nevicato e faceva molto freddo, poco dopo le 5 del mattino il padre Claudio giunge dalla nonna materna a Trastevere ed entrato in casa, vede il bambino che dorme beatamente tra la nonna Rita e la zia Manuela; Claudia, la madre, era dal giorno precedente all'ospedale. Il padre, Patrizio, porta con se il bambino rompendo un dito a nonna Rita che cercava di fermarlo per coprire almeno il bambino, dato che faceva molto freddo e il piccolo indossava solo il pigiamino. Il corpo del bimbo e' riaffiorato dal fiume a fine marzo, a Fiumicino, dopo essere stato avvistato da due giovani che stavano andando a pescare.
Patrizio viene descritto come un padre violento e un uomo padrone.

Perchè uccidono i padri? Forse perchè sentono il figlio come una proprietà, come un qualcosa che appartiene loro. Spesso tuttavia quando il padre diventa un assasino il movente è anche il desiderio di vendetta. Il piccolo diventa uno strumento attraverso cui colpire altre persone, per provocare loro un dolore. In questo caso ci troviamo non solo di fronte ad un assassino crudele, ma anche ad un vigliacco che non merita pietà.
I parenti ora chiedono una pena severa ed esemplare, anche se nessun verdetto potrà rimarginare una perdita così grande come quella di un figlio.



giovedì 9 febbraio 2012

Scuola elementare di Bagnolo di Po


Una maestra delle elementari di 48 anni è stata arrestata per maltrattamenti sui bambini. L'insegnante manifestava atteggiamenti violenti e aggressivi nei confronti dei minori. I bambini di una scuola in provincia di Rovigo venivano presi a calci, strattonati e puniti. La donna avrebbe usato metodi violenti, arrivando additittura a prendere a calci i suoi alunni e costringendoli a rimanere in piedi in punizione in un angolo. Comportamenti descritti nelle testimonianze dei genitori e degli stessi bambini, sentiti in forma protetta su delega dell'autorità giudiziaria, che a volte si manifestavano con maltrattamenti fisici, mentre altre volte la maestra rovesciava i banchi gettando via il materiale scolastico dei bambini. Il giudice Carlo Negri, ha firmato una ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari per la maestra.

Costa d'Avorio, i piccoli schiavi del cacao



La regione di Daloa, è il cuore più inaccessibile della Costa d'Avorio, 400 chilometri da Abidjan, la terra delle piantagioni dove bambini e adolescenti vengono venduti come schiavi nei campi di cacao e caffè. Qui dopo le sette di sera compaiono i primi tre ragazzini, reduci dalla giornata di lavoro.
Hanno si è no 14 anni, magliette ridotte a brandelli addosso, sandali di plastica, bidoni sulla schiena. "Siamo qui da quasi un anno, racconta uno di loro, ma non abbiamo ancora visto un soldo. Il padrone dice che dobbiamo completare il periodo di contratto prima di essere pagati. Il lavoro però è talmente duro che vorremmo andarcene subito. Quando arriva la sera vorremmo solo andarcene via ma scappare è impossibile, la piantagione è isolata, ci controllano a vista".
La notte si dorme nelle baracche, in tre sullo stesso materasso gettato per terra, infestato da parassiti, tra mura di fango che trasudano umidità, sotto tetti di lamiera. Si tira avanti senza identità, qualche volta tra botte e insulti, spesso senza nessuna idea sul futuro.
Hanno un solo giorno libero la settimana, i giovani clandestini impiegati nelle piantagioni: il venerdì. I coltivatori sembrerebbero preferire i ragazzi tra i dodici e i sedici anni, scartando i più piccoli perché inadatti a un lavoro pesante come quello delle piantagioni. I bambini che si vedono nei campi sarebbero tutti del posto, figli e nipoti dei proprietari terrieri.

martedì 7 febbraio 2012

Bangladesh, a tre anni nelle cave di pietra

                                                     


                                                        Le vittime più indifese



"Nei campi di pietra di Pagla, nel cuore del Bangladesh, non c'è posto nel per il riposo ne per la debolezza: si deve lavorare all'alba, e i bambini imparano a spaccare le pietre prima che a parlare. Le rocce più grandi si devono frantumare in pezzetti, per farli poi diventare ancora più piccoli. Gli uomini più forti caricano cesti pieni di rocce e li accatastano vicino al luogo dove lavorano i bambini. Alcuni hanno appena tre anni.
Il piccolo Najmun alza un attimo lo sguardo e fa vedere i suoi occhi tinti di giallo dalla polvere. Ha la pelle annerita da sole, i piedi graffiati e i palmi delle mani ricoperti da grossi calli per la pesante mazza di legno e acciaio che stringe con forza. <<Bango, bango!! (colpite, colpite), ripetono Najmun e i suoi piccoli compagni nel cantiere mentre lavorano veloci. Ogni 100 sassi frantumati guadagnano mezzo dollaro.  Najmun, 5 anni, ha la testa rasa e il gesto triste, imperturbabile. Anche i suoi tre fratelli e i suoi genitori lavorano nel cantiere. Lo scopo è guadagnare il minimo per riempire lo stomaco alla sera e trovare l'energia sufficiente per tornare all'alba al posto di lavoro.
Il Bangladesh è, con l'Angola, il peggior luogo del mondo dove un bambino può capitare di nascere. I minori in questo Paese asiatico patiscono un livello di denutrizione paragonabile soltanto alle condizioni dell'Africa. Due milioni di bambini tra i cinque e i nove anni sono costretti a lavorare. Frabbricano vestiti che si vendono in Occidente. Pelano gamberi 14 ore al giorno nei mercati del pesce. O fanno da serve se sono bambini. Comunque è nelle cave di pietra che il lavoro si fa ancora più duro. Il caldo è asfissiante, fino ai 40 gradi, la polvere avvelena i polmoni, lo sforzo fisico è estenuante e gli incidenti sono continui. Ma la polizia non fa niente per evitare lo sfruttamento infantile perchè sa che dal lavoro dei bambini dipende la soppravvivenza di migliaia di famiglie".

lunedì 6 febbraio 2012

Bambini che assumono prematuramente il ruolo di adulti



CONFLITTI ARMATI

Centinaia di migliaia di bambini sono coinvolti nei conflitti armati come combattenti, corrieri, portatori, cuochi o schiavi sessuali per gli eserciti e i gruppi armati. Mentre sono sotto il controllo delle forza armate, i bambini sono costretti a partecipare a delle atrocità orribili. Si stima che oltre 250.000 bambini siano attualmente arruolati come soldati nei conflitti armati in corso nel mondo.


MATRIMONI PRECOCI

Il matrimonio precoce può mettere fine a ogni possibilità d'istruzione ed è troppo spesso l'anticamera di una vita di asservimento domestico e sessuale. Puù portare anche alla morte precoce delle giovani spose che hanno gravidanze premature. Anche i loro bambini hanno meno probabilità di sopravvivere.


LAVORI PERICOLOSI

Si stima che 171 milioni di bambini, di cui 73 milioni sotto i 10 anni, lavorino in condizioni di situazioni rischiose: a contatto con sostanze chimiche e pesticidi nel settore agricolo, con macchinari pericolosi o nelle miniere. Questi bambini sono esposti a gravi rischi di lesioni, malattie e morte, e molti sono esclusi dall'istruzione.

sabato 4 febbraio 2012

Bambini invisibili

                                                                                                                                                           Foto di Tania Cristofari

Milioni di bambini attraversano la vita senza alcuna protezione da abusi e violenze intenzionali. Questi bambini diventano invisibili quando subiscono abusi e sfruttamento in situazioni nascoste e non sono computati nelle statistiche. Anche i bambini che vediamo ogni giorno possono diventare "invisibili" ai nostri occhi quando sono trascurati o ignorati.

Bambini privi di cura genitoriale

ORFANI
I bambini che hanno perso i genitori sono privati della prima linea di protezione. Improvvisamente gravati di responsabilità o costretti a provvedere a se stessi, molti diventano meno visibili nelle loro comunità perchè abbandonano la scuola o cadono vittime dello sfruttamento.

BAMBINI DI STRADA

Decine di milioni di bambini vivono per strada, sotto gli occhi di tutti, ma paradossalmente sono tra i più invisibili, le loro difficoltà sono ignorate e i loro bisogni trascurati. I bambini di strada sono esposti a tutte le forme di sfruttamento e di abuso.

BAMBINI IN STATO DI DETENZIONE

I dati sui bambini in stato di detenzione sono scarsi; tuttavia, secondo le stime annuali la cifra si aggira intorno a un milione di bambini nel mondo. Molti di questi bambini non sono più trattati come tali e subiscono violenze fisiche e sessuali. L'UNICEF è fermamente convinto che la detenzione debba essere l'ultima risorsa, e comunque è solo un provvedimento temporaneo  per i bambini.

venerdì 3 febbraio 2012

Diversi disegni di bambini maltrattati

"Una parte di loro che muore per sempre"



Bambini si diventa


Sono più di 700.000 i bambini sottoposti al rischio di un’infanzia compromessa da oltraggi psicologici e fisici in Italia, secondo i dati presentati dal Coordinamento italiano dei servizi a rischio, abuso e maltrattamento (Cismai). L’associazione non profit CAF, presieduta dal Professor Gustavo Pietropolli Charmet, psichiatra da sempre dedito al mondo dei minori e degli adolescenti in crisi, nasce nel 1979 e si afferma nel panorama associativo italiano grazie al proprio metodo di intervento, focalizzato sulla cura delle ferite inflitte dall’abuso sessuale e dal maltrattamento. Il CAF ospita 3 Comunità Residenziali Indipendenti (Elfi, Gnomi e Folletti) che rappresentano una casa temporanea che permette ai piccoli ospiti di essere protetti e aiutati a crescere in un ambiente sereno, per imparare a riacquistare la fiducia in se stessi e nel mondo degli adulti. Le 3 comunità accolgono circa 30 bambini tra i 3 e i 12 anni e li accompagnano in un percorso educativo e rieducativo personalizzato sulla base dei problemi individuali, grazie al supporto di psicologi e psicoterapeuti che valutano caso per caso e offrono sostegno anche alle famiglie d’origine e affidatarie, dove i bambini saranno poi reinseriti. Il CAF, Centro di Aiuto al Bambino maltrattato e alla Famiglia in crisi, per aiutare questi bambini in difficoltà, lancia una nuova campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi a sostegno delle sue 3 Comunità Residenziali per bambini dai 3 ai 12 anni.

venerdì 20 gennaio 2012

Padova, condannata dopo anni di terrore



Condannata una padovana quarantenne che malmenava i suoi tre figli di 16, 10 e 3 anni, per futili motivi. Uno dei tre bambini dopo anni di terrore ha raccontato quello che subiva chiamando "Telefono Azzurro" nel 2008. I piccoli non erano riusciti a trovare la forza e il coraggio di parlare con nessuno del dramma che vivevano.
Le indagini hanno dichiarato che la madre procurava ai bambini delle lesioni, essi venivano picchiati spesso: morsi, ceffoni, calci.
Inoltre venivano costretti ad alzarsi prima dell'orario scolastico, addirittura verso le 4 della mattina, a svolgere quotidianamente i lavori di casa e a prepararsi da mangiare da soli, perchè spesso la madre li lasciava senza mangiare.
La donna è stata denunciata e condannata a 2 anni e 8 mesi di reclusione dal giudice di Bassano Deborah De Stefano, i figli sono stati affidati ai rispettivi padri.